LUOGO DI INTERESSE STORICO

 

Battaglia e sacco di Pontecurone (7 settembre 1635)

Il Duca di Parma Odoardo Farnese, alla testa di un esercito composto da 5.000 fanti, 1000 cavalli, 2 cannoni, 2 sagre (il sagro era un pezzo d’artiglieria simile ad un piccolo cannone), munizioni da guerra, strumenti di assedio e guastatori, partì da Piacenza il 1° settembre 1635. Dopo essersi impadronito di Voghera occupandone il castello il 6 settembre, il giorno 7 mosse su Pontecurone. Il borgo, tutto circondato dalle mura, era difeso da 7.000 fanti e cavalli al comando del marchese Filippo Spinola e del generale spagnolo Gaspare Azavedo. Lo scontro a poca distanza dalla Porta Nord del paese fu durissimo e vide sorprendentemente la vittoria del Farnese, il quale, avendo promesso ai suoi uomini, prima di dare l’attacco, “il sacco di quella ricca terra”, acconsentì al saccheggio del borgo, ad esclusione del Monastero delle Carmelitane. Quello fu uno dei giorni più nefasti per il paese, perché iniziarono soprusi, spogliazioni ed angherie che si protrassero per tutta la giornata e l’intera notte, mentre si seppellivano i morti (un centinaio) e il Duca si riorganizzava per marciare su Valenza. Anche la sede dell’archivio e molti libri di antichi documenti furono stracciati e distrutti.

La battaglia di Pontecurone s’inquadra nel contesto della guerra per la successione del Ducato di Mantova e come conseguenza dell’alleanza che i Farnese fecero con la Francia di Richelieu (1633), per contrastare il predominio della Spagna in nord Italia.

Ricordo che il sacco di Pontecurone, che si abbatté su un paese già molto provato dalla peste del 1930 (circa cento furono le vittime del morbo), fu solo l’inizio di una serie impressionante di devastazioni. Il borgo, per la sua posizione strategica di passaggio, dovette subire in seguito le conseguenze del transito delle milizie del generale Villa, le distruzioni da parte degli Alemanni e infine l’occupazione degli Spagnoli. Non stupisce che molti Pontecuronesi decidessero di abbandonare il borgo, per rifugiarsi nelle campagne, né che costruissero lunghe gallerie sotterranee come vie di fuga. La popolazione uscì stremata da quel trentennio triste e travagliato da un’infinita sequela di sciagure, tanto che si indebitò pesantemente con lo Stato di Milano.

Marialuisa Ricotti

 

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