PALAZZO BOSSI
Il 1° ottobre 1803 diventò operativo e definitivo anche per Pontecurone il decretonapoleonico che stabiliva la soppressione degli ordini religiosi, con la conseguente confisca e vendita delle loro proprietà. Fu Giacomo Bossi, avvocato (ed esperto usuraio, secondo una diffusa voxpopuli), a comprare gli edifici del Monastero delle Carmelitane di Nostra Signora delle Grazie, un grande convento di monache carmelitane, fondato nel 1518, che godeva della rendita di 347 pertiche di terreno e apriva al culto pubblico la bella chiesa, appunto dedicata a Santa Maria delle Grazie, affacciata sulla via del Monastero, oggi via Giacomo Bossi. Tali edificioccupavano all’incirca i quattro quartieri centrali e più antichi del paese, il cosiddetto burg vèg. Giacomo Bossi, a sua volta, rivendette gran parte di quelle costruzioni, tenendo per sé i fabbricati dell’area confinante con la chiesa di S. Maria delle Grazie, comprensiva del chiostro e delle celle delle monache, nonché gli edifici sempre affacciati sull’antica via del Monastero, prospicenti la corte vecchia, tra cui il Palazzo, probabilmente ristrutturato e adattato alle proprie esigenze.
Nell’età napoleonica Giacomo Bossi aveva fatto il Sindaco della comunità pontecuronese negli anni 1791,1796,1800 e 1814. Non aveva avuto figli dalla moglie Gerolama Frascata; nelle case ricavate negli edifici dell’ex convento vivevano anche i suoi fratelli Filippo Antonio, Gerolamo, Luigi e molti dipendenti (fattori, domestiche, cavallanti, contadini, artigiani, ecc.) con le loro famiglie. Alla morte di Giacomo, ereditò tutto il nipote ed esecutore testamentario Gaetano Bossi (1801-1871) avvocato e cavaliere, figlio di suo fratello Luigi. Fu Gaetano a realizzare la volontà testamentaria dello zio Giacomo di fondare l’Ospedale per i poveri, in seguito conosciuto come Ospedale ‘Giacomo Bossi’. Gaetano, quando morì suo padre Luigi, per evitare lo smembramento del patrimonio di famiglia, sposò la sua matrigna Maddalena Ricci, che aveva una decina d’anni più di lui.
Gaetano Bossi in realtà preferiva abitare all’interno del monastero e frequentare le case dei suoi dipendenti, soprattutto se questi avevano mogli compiacenti. In quanto sindaco di Pontecurone, abitò anche nel palazzo municipale negli anni 1837-1842, 1849-1851 e 1854-1866. Sua moglie-matrigna Maddalena Ricci, da cui non ebbe figli, risiedeva invece nel Palazzosull’altro lato di via Monastero, unpoderoso edificio che con le sue pertinenze occupava praticamente l’intero quartiere fra la via San Pietro (oggi via Dante) e via della Trinità (via Verdi). Nell’ Ottocento il Palazzo appartenne alla famiglia Cantù, proprietaria di altre case e di molti terreni, compreso il grande campo, posto fra la roggia e il Curone, denominato “Castellone”. Quando nei primi anni del ‘900 la signora Caterina Guasone in Cantù rimase vedova, affittò parte del suo palazzo di via del Monastero al Comune, che lo destinò a vari utilizzi. Infatti parecchi locali furono subaffittati a famiglie in difficoltà economiche e, durante la Grande Guerra, a profughi fuggiti dalle zone del conflitto. Circa 12 stanze furono utilizzate per vent’anni, a partire dal 1911, per ospitare il primo Asilo infantile del paese, gestito dalle suore Benedettine della Divina Provvidenza di Voghera.
Un episodio significativo lega il palazzo Bossi, poi Cantù, alla storia del paese: nel 1920 il Ministero dell’Interno concedette l’istituzione a Pontecurone di una Stazione di Reali Carabinieri. La vedova Cantù, interpellata, diede l’assenso per ospitare la caserma nel Palazzo di via del Monastero-angolo via san Pietro. Dopo due anni di trattative per concordare il canone d’affitto, infine stabilito in £. 3.000/anno, sorprendentemente, alla vigilia dell’accordo, la vedova si ritirò, vanificando tutti gli sforzi di intermediazione con il Governo di Roma, che il Sindaco Giovanni Arezzi prima, e il prosindaco Michele Azzi dopo, avevano fatto, per realizzare un antico sogno dell’Amministrazione pontecuronese, cioè quello di avere in paese una stazione di Carabinieri, senza dover sempre dipendere da quelli di Castelnuovo. Da oltre trent’anni i Sindaci che si erano succeduti avevano fatto istanza per avere la caserma in paese. Ma perché, proprio sul traguardo, la Sig. Caterina si era ritirata dalla trattativa? In effetti nel 1922 si stava attraversando un periodo di eccezionale siccità, come nessuno ricordava. L’acqua scarseggiava o addirittura mancava completamente nei pozzi del paese (non esisteva ancora l’acquedotto). L’unico pozzo dell’abitato ben fornito d’acqua era quello di palazzo Bossi. Siccome nella convenzione fra la proprietaria e il Ministero dell’Interno c’era una clausola che impegnava la proprietaria a garantire la continuità dell’acqua potabile del pozzo e, qualora fosse venuta a mancare, imponeva l’onere di provvedere altrimenti l’acqua in quantità sufficiente ai bisogni dei Carabinieri, la signora non accettò di firmare. Ma il Pro Sindaco Michele Azzi propose alla vedova Cantù di affittare l’edificio al Comune, il quale l’avrebbe dato in subaffitto al Governo, per aprirvi la stazione dei Reali Carabinieri, senza imporre alla signora la clausola dell’acqua del pozzo. Caterina accettò. Da Caterina Guasone Cantù, il palazzo passò per successione ereditaria a Teresa Cantù, deceduta a Pavia nel 1969, quindi ai figli Fernando e Franca Sironi, i quali vendettero l’immobile nel 1974 ai geometri Egidio De Maestri e Gianfranco Vismara. Nel 1992 Giulio Bergaglio acquistò da loro il vetusto edificio, ormai fatiscente, per farne la sua dimora. Una scommessa con sé stesso: già da piccolo, quando lo osservava dalla finestra della sua casa al di là dell’antico cortile, Giulio sognava di comprarlo e di restaurarlo, intuendone forse il prestigioso passato. Il restauro filologico durò circa dieci anni e fu eseguito nel rispetto dei materiali, delle strutture e dello stile originali.
Marialuisa Ricotti
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