PALAZZO SPINOLA
I Pontecuronesi degli ultimi 200 anni hanno definito in modi diversi il medesimo palazzo sulla via Emilia (già strada Maestra o Romea), identificandolo di volta in volta con la famiglia proprietaria. Ma una cosa è sicura. Le famiglie che si sono succedute nella proprietà del palazzo, hanno fatto la storia del paese da veri protagonisti.
DAGLI SPINOLA AI FARINA
Essendo l’edificio di uso civile più grande ed imponente di Pontecurone, il Palazzo è sempre stato uno “status symbol”. Infatti l’avevano eretto gli Spinoladi Los Balbases, feudatari di Pontecurone, Casalnoceto, Volpedo e Monte Marzino dal 3 luglio 1668 fino all’arrivo di Napoleone (1796). Affacciato sulla via Maestra, di fronte all’antico Monastero carmelitano di Santa Maria delle Grazie, l’edificio che noi oggi definiamo abitualmente ‘palazzo Guagnini’, assunse le caratteristiche tipologiche e dimensionali che si sono conservate interamente sino ad oggi.
Articolato in tre piani fuori terra, oltre al sottotetto praticabile, appartiene alla tipologia del palazzo urbano settecentesco dalla pianta a blocco rettangolare. Osservandolo con attenzione, notiamo che la facciata principale (sulla via Emilia) è caratterizzata da una rigida simmetria e da una regolare partizione di 6 lesene e 5 assi verticali; oggi nell’asse centrale, ma non in mezzeria alla facciata, è posto l’androne d’ingresso, originariamente presente, ma che nell’epoca degli Arezzi fu eliminato e sostituito da un grande cancello laterale in ferro battuto, che funzionava anche da accesso carraio e immetteva nel nuovo giardino, su cui si affacciava il portale d’accesso al palazzo. La facciata rivolta al giardino, infatti, speculare a quella principale, evidenzia al piano terra in posizione asimmetrica il portone di accesso, con cornice in cotto, sovrastato al primo piano da un balconcino aggettante. Altri tre balconi sulla facciata principale ed uno su ogni facciata laterale, tutti con ringhiere in ferro battuto, rivelano il livello di piano nobile, mentre cornici in marmo di ridotto spessore delimitano le aperture al piano terra, destinato, dal secondo dopoguerra, ad attività commerciali, alle quali si accede dal fronte strada.
I QUASI CENT’ANNI DEI FARINA
Palazzo Spinola divenne nel 1807 Palazzo Farina. Fu acquistato quell’anno dal Dott. in Legge Carlo Maria Farina, amministratore degli Spinola. Il palazzo, nel cuore del paese, a poca distanza dal Municipio, godeva del privilegio – strategico – di affacciarsi sulla via Maestra, che allora era l’unica strada di collegamento fra il porto di Genova e i maggiori centri dell’Italia del Nord. Il Dott. Farina, che abitava quasi tutto l’anno a Genova, ma si trasferiva spesso nei suoi poderi di Stradella (sua moglie Rachele Moraschi era di Stradella) e andava, sempre in diligenza, anche a Milano per lavoro, aveva ritenuto molto vantaggioso comprar casa a Pontecurone, che è esattamente a metà strada fra Genova e Milano. Nel 1845, in pieno Risorgimento, mentre suo figlio Paolo si avviava ad una brillante carriera politica a Torino presso il Parlamento piemontese, il Dott. Carlo M. Farina usava il Palazzo di Pontecurone come base non solo per i suoi spostamenti, ma anche per far vita mondana. Carlo M. Farina lasciò i suoi beni al figlio Paolo che, già consigliere comunale a Pontecurone nel 1849, divenne Senatore del Regno nel 1857 e fu, insieme all’amico ministro Urbano Rattazzi, grande regista dell’ascesa pontecuronese. Il Palazzo restò proprietà dei Farina rimase fino al tramonto del sec. XIX, esattamente fino al 1° ottobre 1897, quando divenne la dimora degli Arezzi. Nei 90 anni di proprietà Farina, l’edificio fu in gran parte affittato. L’ultimo proprietario della facoltosa famiglia ottocentesca fu il Rag. Paolo Farina (omonimo nipote del Senatore), il quale, oberato di debiti, svendette il Palazzo per 25.000 lire al suo maggior creditore: Arezzi Giuseppe (figlio del fu Fedele, benestante, e di Giovanna Butteri Rolandi, discendente da un’importante famiglia di Viguzzolo), sposato con Maggiorina Torlasco, di Rocca Susella. Comincia a questo punto l’epoca di Palazzo Arezzi.
GLI AREZZI
Nella seconda metà dell’800, Giuseppe Arezzi era diventato ricchissimo: aveva comprato e permutato cascine, terreni e case a Pontecurone e nei paesi circonvicini. Aveva avuto dalla moglie Maggiorina Torlasco (nata nel 1829) sette figli, due dei quali morti in tenera età, e nel 1875 abitava in via Maestra n. 35, in una casa al cui piano terra aveva aperto una panetteria, gestita dal pontecuronese Giorgio Ricciardi. Appena comprato Palazzo Farina, al n. 45 della via Maestra, Giuseppe vi trasferì tutta la famiglia. La nuova proprietà, oltre al Palazzo, comprendeva: un cortile, un giardino, due case affittate, un rustico e, al di là della via Santa Maria delle Grazie, nell’isolato della Collegiata di Santa Maria Assunta, un grande sedime coltivato ad orto, chiamato “il canepaio”, tutto cintato da un alto muro, che arrivava fino alla strada dell’Arcipretura (oggi via Cavour). Il grande Palazzo Arezzi ospitò quasi tutti i figli di Giuseppe Arezzi e Maggiorina Torlasco, tranne il primogenito Luigi.
Con GiovanniArezzi, terzogenito maschio di Giuseppe, comincia una vera e propria dinastia di amministratori del paese. Nato nel 1861 (anno dell’unità d’Italia), Giovanni fu un uomo dalla forte personalità, molto carismatica: fece il Sindaco dal 1902 al 1922. Se si esclude la parentesi di amministrazione “socialista”, durata 15 mesi fra la fine del 1920 e l’inizio del ’22, durante la quale fu sindaco l’avv. Giuseppe Ottaggi, Giovanni Arezzi guidò la comunità pontecuronese per vent’anni. Tutto quello che successe a Pontecurone nel primo quarto di secolo fu improntato alla sua supervisione, al suo stile amministrativo, alla sua lungimiranza.
DA PALAZZO A VILLINO: DAL SINDACO GIOVANNI AREZZI AL PODESTA’ GIUSEPPE AREZZI
I fratelli Emilio e Giovanni Arezzi, insieme al loro fratello Enrico, abbellirono il palazzo di famiglia, che amavano definire ‘villa’ o ‘villino’ per dare risalto al giardino e all’enorme e curatissimo orto (il ‘canepaio’). Nel primo ventennio del ‘900 i tre fratelli fecero grandi investimenti, soprattutto in terreni, puntando su un’agricoltura più moderna ed intensiva, così come sull’allevamento del bestiame. Divennero in sostanza dei moderni imprenditori agricoli.
Ancora un Arezzi dell’omonimo palazzo guidò Pontecurone dal 1926 al 1934:il Cav. Dott. Giuseppe Arezzi (1891-1960), primo “podestà” del paese durante gli anni del regime.
IL PALAZZO DEL PODESTA’
Col potere decisionale accentrato nelle mani del podestà, anche la dimora degli Arezzi vide affievolirsi i caratteri di leggerezza e gentilezza del ‘villino’ e parve riacquisire l’antica aura di dominio e di severità, che aveva avuto al tempo degli Spinola. Il Cav. Dott. Giuseppe Arezzi lasciò l’incarico di Podestà nelle mani dello zio Enrico Arezzi nell’agosto del 1934. La guida del paese da parte di Enrico Arezzi si mantenne molto saggia, illuminata e lungimirante, ma i tempi erano convulsi e la dittatura fascista stava conducendo la Nazione direttamente nel baratro della II guerra mondiale. La famiglia Arezzi, per la gente del paese, era identificabile con il partito fascista e il Palazzo di via Emilia era il simbolo del potere di tale famiglia. Nel settembre del 1938 Enrico Arezzi lasciò l’incarico di podestà, sostituito da Giovanni Guagnini.
IL PALAZZO DURANTE LA II GUERRA MONDIALE
Durante gli anni del conflitto, la maggior parte del palazzo era affittata a famiglie pontecuronesi. Sorprendentemente sulla sorte dell’imponente e antico edificio andavano intanto confluendo da un lato l’idea della famiglia Arezzi di venderlo, dall’altro, quella di Don Orione di acquistarlo. Infatti il Servo di Dio prima di morire aveva manifestato ai suoi più fidati collaboratori quello che allora era il suo sogno: l’enorme edificio, che apparteneva alla famiglia più ricca e potente del paese, simbolo stesso del potere degli Arezzi, sarebbe potuto diventare la casa degli ultimi: i vecchi soli, le persone abbandonate, gli orfani!
IL DOPOGUERRA
A guerra finita, il 2 agosto 1946, il geom. Arezzi Gianluigi figlio di Enrico, già commissario prefettizio, e sua madre Angela Maria Clotilde Lodi Arezzi, vendettero l’intero stabile perLire 150.000 alla Spettabile Società immobiliare ORIONE con sede in Venezia, rappresentata dal Sacerdote orionino Don Enrico Bariani, in qualità di Procuratore speciale della Società. Il sogno di Don Orione, di dare ai suoi poveri, orfani e anziani, una degna e grande residenza nel suo paese natale, si stava realizzando. Era il più degno monumento di carità alla memoria del Padre dei poveri, ma le cose non andarono come era stato previsto. Palazzo Arezzi per gli Orioninifu in realtà una fonte continua di tribolazioni. Alcune camere del palazzo vennero adibite a ricovero di vecchiette, ma la maggior parte dell’edificio continuò ad essere abusivamente occupata, nonostante i solleciti di sgombero da parte della Piccola Opera della Divina Provvidenza. E poi ci fu l’incendio. Il 4 marzo 1949 un violento incendio, originatosi da una stanza del piano superiore occupata da un inquilino, si sviluppò verso le 6 del mattino, divampando furioso fin quasi le 18. Buona parte del Palazzo fu distrutta e fu compromessa la stabilità della bella torretta, che sovrastava l’edificio.
PALAZZO GUAGNINI
Gli Orionini, alla fine, nel dicembre del 1946accolsero la proposta del Sig. Francesco Guagnini di permutare una sua proprietàcon Palazzo Arezzi. Dagli anni ’50 ad oggi, numerosi sono stati gli interventi da parte dei sigg. Guagnini per abbellire lo storico palazzo e il giardino su cui si affaccia. In particolare, grandi cure sono state riservate dall’ attuale proprietaria sig. Maria Grazia Guagnini De Battisti, figlia di Francesco, proprio al giardino, reso, nell’arco di decenni, particolarmente armonioso, grazie alle cure e al buon gusto della proprietaria.
Marialuisa Ricotti
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