TORRE CIVICA VISCONTEA E PALAZZO MUNICIPALE

 

Indispensabile premessa

La storia del paese nei primi tre secoli del Basso Medio Evo (XI-XIV) è legata a quella di Tortona e del territorio circostante, su cui l’antica Dertona esercitava da almeno mille anni la sua egemonia. Proprio per questo le vicende storiche dell’imperatore Federico I Barbarossa, che assediò e distrusse Tortona nel 1155, coinvolsero profondamente anche l’antico borgo, che in quella tragica occasione dovette alloggiare una parte dell’esercito imperiale. Sicuramente tali vicende provocarono sconvolgimenti nella popolazione e grandi cambiamenti anche dal punto di vista urbanistico e architettonico, tanto che la memoria popolare attribuì alla volontà del Barbarossa la costruzione di edifici nati in epoche successive; del resto è risaputo che la leggenda è connaturata ai fatti e ai luoghi dalle antiche origini. Infatti, la Torre civica e il Palazzo municipale, simboli indiscussi dell’importanza politica ed economica del paese, non furono eretti dal Barbarossa, bensì da Gian Galeazzo Visconti (1351-1402), Duca di Milano e Conte di Pavia, il quale nel 1392 decise di fortificare Voghera e i paesi di Pontecurone, Sale e Casei. Il progetto di Gian Galeazzo era di unificare il nord Italia sotto un grande stato nazionale con Milano alla testa, analogamente a quanto stava avvenendo in quegli anni in Francia e in Spagna. In quest’ottica diventava di fondamentale importanza marcare profondamente i territori viscontei con elementi architettonici e artistici inconfondibili. Non a caso Gian Galeazzo nel 1365 aveva avviato importantissimi lavori sia di idraulica, sia di architettura, come ad esempio la costruzione del Duomo di Milano e, dopo la sua investitura a conte, nel 1396, quella della Certosa di Pavia, dove verrà sepolto nel 1402.

Torre

Anche a Pontecurone, come in altri paesi dominati dai Visconti, la costruzione nel 1392 della cinta muraria fortificata, del Palazzo e della Torre con annesso il luogo di culto (cioè l’antica chiesa parrocchiale di San Giovanni, crollata nel 1814) era finalizzata a costituire un indiscusso centro di potere, destinato a durare per secoli. La Torre, altam. 31,32 (m. 27,20 fino alla gronda + m.4,12 di tetto e torretta) ha base quadrata (m. 5,9 x m. 5,9) ed è interamente costruita in mattoni. In origine terminava con tre merli per ogni lato, probabilmente a coda di rondine, poi squadrati quando, a protezione della struttura, sui merli fu appoggiato un tetto, sul quale fu costruita la torretta, destinata ad ospitare la campana, il parafulmine e a fungere da portabandiera (dal XIV al XVI secolo, la prima domenica di maggio veniva issata la bandiera del gualdo nota n.1).Fin dal Medioevo la campana nella Torre del Palazzo del Comune ebbe molteplici funzioni: da essa partivano i segnali di convocazione delle magistrature, quelli relativi agli esiti delle guerre in corso ed anche quelli per il coprifuoco e gli allarmi in generale. La campana veniva altresì usata nelle ricorrenze solenni, nei festeggiamenti o per dare il benvenuto alle personalità politiche e religiose che facevano visita. Già nel 1600 la Torre era dotata di orologio. Da quando fu collegata meccanicamente all’orologio, la campana della Torre ha sempre scandito le ore della giornata. Negli anni ‘70 del secolo scorso gli orologi divennero quattro, uno per ogni lato.

La società Imprese Elettriche del Piemonte Orientale, nel 1913, a nove anni dall’introduzione dell’energia elettrica in paese, stipulò col Comune un accordo per piazzare all’interno della Torre, appositamente restaurata, dei trasformatori elettrici per dare luce al paese in condizioni di maggiore sicurezza ed evitare il pericolo d’incendio. In quell’occasione vennero costruiti due piani in legno, collegati da scale, all’interno della Torre.

Nella parte più sotterranea e nascosta della Torre c’era la storica prigione del paese: una camera buia e umida, dove per tanti secoli sono stati rinchiusi i malfattori o presunti tali, in attesa della sentenza di un giudice, controllati da due “fanti”, che alloggiavano a poca distanza dalla cella.

Dunque la Torre fu costruita per due scopi perfettamente antitetici: da un lato quello di sopraelevarsi sul paese per vedere ed essere visti da lontano, mandare segnali, prevenire attacchi, spaziare con lo sguardo e cogliere elementi utili a preservare la sicurezza delle persone; dall’altro, contemporaneamente, creare lo spazio più chiuso, cieco, isolato e inosservabile che ci potesse essere, per precludere ogni possibilità di fuga ai prigionieri ed annientarne, insieme alla dignità, ogni barlume di libertà!

Il Palazzo, chiamato anticamente “Casa della Torre”, fu da subito identificato come il Pretorio, vale a dire il luogo di amministrazione delle leggi e della giustizia, affacciato all’unica, piccola piazza del paese, dalla superficie pari a circa la metà di quella attuale. Nel 1614, quando il paese apparteneva al feudatario Conte Gerolamo Morone, tra i Consiglieri, che collaboravano col feudatario all’amministrazione, c’erano Giulio e Gio.Batta Cattaneo, che esercitavano una sorta di leadership sull’intero Consiglio, talvolta persino in contrasto con le direttive del Conte Morone. Gli attuali portici del Palazzo comunale furono fatti costruire appunto nel 1614, a lato della pubblica piazza, proprio dal consigliere Gio.Batta Cattaneo, “in nome della Comunità”, la quale comunque contribuì alla costruzione con duecento scudi.

Nel 1945, ancora in piena II guerra mondiale, Gianni Arezzi, commissario prefettizio del paese, dovendo affrontare una spesa complessiva di oltre 80.000 lire per mettere in sicurezza la Torre civica, collocarvi un nuovo orologio pubblico, sistemare l’ingresso e il pericolante scalone di accesso al Palazzo municipale e pavimentarne il porticato , oltre a dare una sistemata al Monumento ai Caduti e collocare intorno alla Piazza stessa delle panchine, non esitò a tirare fuori 4.000 lire di tasca sua e ad impegnare, per una cifra complessiva di 30.000 lire, i suoi amici industriali fornaciai e cotonieri, proprietari terrieri, commercianti: i Taverna del mulino, Pietro Zenevre, Innocenzo Dossola, Pietro Fornasari, la società Pagano-Azzi-Signorini, Gino Bozzi, Giuseppe Azzi, la società Italia Assicurazioni, il cotonificio Bustese, Carlo Bezzi, Perseghini, Poggi (mulino), Lorenzo Stringa, Gino Rognoni (della Salvaterra), Stringa (della Salvadora), Berri, Bobbio Pallavicini, Vittorio Azzi, Pelletta Emilio, Cairo, Massone Antonio e i fratelli Campi .

Oggi lo storico Palazzo municipale è in attesa di restauri. L’attesa dura dal 1994, anno in cui il municipio fu trasferito a Villa Signorini.

Note

1. L’ articolata cerimonia di issare sulla Torre la bandiera del gualdo apriva le contrattazioni commerciali del gualdo, l’erba tintoria (per il colore blu) coltivata nel territorio dal 1300 al 1700. La bandiera era di tela spessa, grande, bianca, a coda di rondine, con lo stemma del Comune, vale a dire un ponte di mattoni rossi a cinque archi. Dal 1984 si rinnova la tradizione e ogni anno a maggio viene issata la bandiera del gualdo, sulla quale è stata aggiunta la scritta “Ut fructusterrae dare et conservare digneris, Te rogamusaudi nos: a fulmine et tempestate, libera nos Domine!”, versetto delle rogazioni, un tempo recitato o cantato nelle litanie durante la cerimonia (“Affinché Tu voglia concedere e salvare i raccolti della terra, Ti preghiamo, ascoltaci: dal fulmine e dalla grandine, liberaci o Signore!”). Dal 2012, per ragioni di sicurezza, la bandiera non viene più issata sulla Torre, ma sul pennone di fronte all’antico Comune.

Marialuisa Ricotti

 

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